domenica 8 dicembre 2013

Resoconto V Giornata della Coscienza Nera- Elena Colombo

In seguito riportiamo la bellissima descrizione della V Giornata della Coscienza Nera scritta da Elena Colombo, che ringraziamo per la dedizione.




V GIORNATA DELLA COSCIENZA NERA
01 dicembre 2013, Villa Piantelli, Genova

Un treno
Salendo da un’ardua vallata africana
Stride e si affanna
Urla e urla.
Non ha perso chi tanto sforzo ha fatto
Ma non ha ancora la vittoria in mano [ …]

                                                            Treno Africano, Agostinho Neto (da Speranza Sacra, 1963)

Sono i figli del deserto
Dove la terra sposa la luce.
Dove vola in campo aperto
La tribù degli uomini nudi...

Sono guerrieri valorosi,
Che con le tigri maculate
Combattono in solitudine...
Uomini semplici, forti, coraggiosi...
Oggi miseri schiavi

Senza aria, senza luce senza ragione
                                                             Nave Negriera, Antônio Castro Alves, 1869

Prendere consapevolezza di sé: questo è il centro della quinta Giornata della Coscienza Nera organizzata domenica 1 dicembre dall’Associazione Luanda. Si tratta in primo luogo di venire a patti con l’identità plurale delle nostre società. Il piccolo gioco proposto da Ludovic Dessi Djontu, dell’Associazione Culturale Shamra Shamra dimostra che è importante potersi definire in maniera chiara e semplice, attraverso un nome e un cognome, ma è altrettanto evidente che due o tre parole scritte su un foglietto non bastano a presentarci né tanto meno a farci accettare dal prossimo, specie se stiamo provando a instaurare un dialogo con uno sconosciuto.  In questo mondo post-globalizzazione, le certezze derivate dalla costruzione di un solido background servono a mettere l’accento su quelle che già il sociologo indiano Arjun Appadurai chiamava “le identità col trattino”, che oggi si moltiplicano, variando le combinazioni.
Arrivando in Italia da ragazzino, Simohamed Kaabour ha sentito per la prima volta l’accezione spregiativa del termine “negro” e pian piano è venuto a patti con la sua nuova condizione d’italo-africano. Oggi cita il filosofo Frantz Fanon, martinicano naturalizzato francese che, negli anni Cinquanta, analizzava i meccanismi psicologici generati da una relazione di dominio nella quale gli stereotipi agiscono come profezie che si auto-avverano.  Simohamed si occupa di programmi di mediazione nelle scuole e spesso s’imbatte in bambini di origine africana che dicono che vorrebbero essere bianchi, anche se per fortuna i loro compagni accolgono la loro diversità e non accetterebbero una magica trasformazione.
In realtà c’è poca magia e molta chimica nello “sbiancamento” della pelle e, per quanto possa sembrare tremendo o assurdo, le creme che schiariscono il viso sono ancora molto diffuse in Africa e in Brasile e causano danni permanenti alla salute. L’oppresso s’identifica con il proprio oppressore e lo idealizza cercando di conformarsi a un modello inarrivabile, troppo alieno per poter essere contemplato. La soluzione del problema è certamente ancora molto lontana perché la nostra scena politica ha dimostrato di non essere pronta a prendere atto della trasformazione. Kaabour si è presentato alle elezioni comunali di Genova del 2012, portando avanti le idee di integrazione / interazione promosse dalla Lista Civica Fratelli & Fratellastri, Cécile Kyenge è stata nominata Ministro del nuovo esecutivo, ma le i preconcetti velatamente o esplicitamente razzisti sono difficili da abbattere. Questo è un argomento che investe la politica ma che riguarda soprattutto la vita quotidiana, le parole che si usano per strada o nelle aule.
La dottoressa Manuela Magalhães prova a tracciare un bilancio a dieci anni dall’approvazione della legge brasiliana numero 10.639 che prevede – tra le altre cose – l’insegnamento della storia e della cultura africana e l’avvio di nuovi corsi di formazione per docenti di qualsiasi grado. Si mette così in discussione il concetto di “democrazia razziale” che pretendeva di mascherare i comportamenti discriminatorî. L’idea di base, nata dalla pedagogia sociale di Paulo Freire, si rispecchia nella recente operazione dell’ex calciatore e attuale ambasciatore dell’UNICEF Lilian Thuram: il suo libro “Le mie Stelle Nere” è un excursus su personaggi “di colore” noti e meno noti, che hanno lottato per affermarsi.
Al nostro convegno, Carla Guerra da Silva, originaria dell’Angola, spiega che non è esistito solo quello Zumbi dos Palmares che è stato leader di una comunità di schiavi sfuggiti al giogo dei padroni e al quale è intitolata questa giornata di commemorazione. Ci sono state tantissime altre persone che hanno contribuito a cambiare la storia grazie ai loro ideali, in Brasile come in Africa o negli Stati Uniti: Nelson Mandela, Rosa Parks e Agostinho Neto sono solo alcuni degli esempi possibili.
Innanzi tutto bisogna modificare il linguaggio e cancellare le espressioni edulcorate e falsamente corrette.
Quando Ludovic, ottimo e brillante mediatore, ha distribuito i pezzetti carta per il suo esperimento sui nomi qualcuno, ricordando l’intervento del campione francese al festival L’Altra Metà del Libro di quest’anno ha pensato che servissero per un’altra prova empirica. Provando ad accostare il foglio al nostro viso, possiamo definirci “bianchi”? Piuttosto, dovremmo imparare a ri-contestualizzare i fatti per trovare una ricchezza culturale nel processo di meticciato che caratterizza il presente. Il primo passo è quindi l’orgogliosa rivendicazione della “negritudine” come realtà che è stata indubbiamente segnata dal dolore della schiavitù, della deportazione e delle torture, ma che ha generato nuovi movimenti, portando con sé poesia, musica, gastronomia e una sensibilità incredibili.
I ritmi afro-venezuelani sono al centro della conferenza di Mayela Barragán Zambrano (dell’Associazione Lameladivetro) ed è davvero un peccato non poter ascoltare i contributi audio che avrebbero splendidamente completato l’intervento, dando conto della grande diversificazione stilistica nelle comunità afro-discendenti del Venezuela(*).
 La maggiore concentrazione di neri si trova nello Stato di Miranda.
Miguel Ernàndez, uno dei più noti percussionisti del Paese, e il pianista Hildemaro Álvarez  hanno da poco scritto un libro nel quale mettono a punto una nuova tecnica per applicare queste sonorità tradizionali alla batteria.
 L’intento è di esportare la ricchezza del panorama venezuelano nel mondo, perché oggi solo i balli cubani e colombiani sono conosciuti a livello internazionale.
 Si parla di costruire un nuovo linguaggio che, partendo dai “golpes de tambor” primigeni, ponga le basi per un nuovo codice. Sono le radici del meccanismo espressivo utilizzato dai poeti afro-latinoamericani in tutto il continente.
Sabato 30 novembre il Gruppo di Lettura in Spagnolo della Biblioteca Berio ha presentato una selezione di autori che hanno raccolto questa sfida, riscattando l’unicità lessicale del loro contesto di provenienza: Luz Argentina Chiriboga Guerrero e Antonio Preciado in Ecuador, o Nicomedes Santa Cruz e Leoncio Bueno in Perù. Inserendo elementi del quotidiano, il fulcro di questa poesia è sempre l’emigrazione e la presa di coscienza di un’identità plurale che, proprio come ipotizzavano provocatoriamente i modernisti brasiliani nella famosa settimana letteraria del 1922, ha generato una miscela unica e originale, degna di acquisire uno status autonomo rispetto alla cultura dominante dei colonizzatori.
Non si può dimenticare che l’evoluzione della modernizzazione odierna si è fondata sulla sofferenza di milioni di uomini, donne e bambini che hanno dovuto lottare per affermare i loro diritti e – per quanto possa sembrare un discorso anacronistico – ancora oggi gran parte dello sviluppo economico capitalista si basa sullo sfruttamento delle classi più deboli. Nella fiction, lo hanno dimostrato film come “Cose dell’altro mondo” (di Francesco Patierno del 2011, con Diego Abatantuono) in cui tutti gli immigrati scomparivano senza lasciare traccia, bloccando la vita quotidiana e l’attività produttiva del nord Italia, o “Un día sin medicano”(di Segio Arau del 2004) dove lo stesso avveniva con i messicani residenti negli Stati Uniti.
Marta Ribeiro presenta questa tematica con la forza di un videoclip che avrebbe dovuto essere accompagnato dalla musica di Caetano Veloso come adattamento del poemetto “La Nave Negriera” di Antônio Castro Alves, uno dei principali autori del romanticismo brasiliano. L’audio purtroppo è quasi inesistente, ma stordisce nelle immagini uno specchio non troppo distante dalle tante “tragedie del mare” che avvengono con allarmante frequenza al largo delle coste italiane.
Solo ieri un gruppo di siriani è stato tratto in salvo dopo essere andato alla deriva per due giorni: i passeggeri del barcone – tra i quali ventuno bambini – stanno bene, ma altrettanto non si può dire delle vittime del naufragio di qualche mese fa, o di tantissimi disperati che sognano l’Europa e tentano di trovare condizioni di vita migliori.
Al convegno si parla di colonialismo e di schiavitù senza menzionare le terribili realtà che si profilano di fronte a molti immigrati appena sbarcati nel nostro paese. Non si può dimenticare la sollevazione di Rosarno di un paio di anni fa e chiedersi se davvero sia cambiato qualcosa nel sistema di sfruttamento. Homo homini lupus.
Oggi le prime pagine dei giornali sono occupate dalla notizia della morte di sette operai cinesi in una fabbrica nel distretto parallelo di Prato, che da anni prolifera accanto all’industria tessile ufficiale. Era una situazione conosciuta e denunciata da tempo. Lo scrittore e deputato Edoardo Nesi, che ne aveva già parlato nei suoi libri, è intervenuto con un post sul sito di Repubblica per difendere l’operato del comune: “I controlli bloccano a singhiozzo la singola azienda ma non il sistema [ …] Ci vorrebbe una legge che consentisse di confiscare tutto”. Alcuni propongono dei volantini di sensibilizzazione scritti in due lingue, ma non basterebbero a smantellare una logica di mercato che non coinvolge solo la cerchia degli abiti economici, interessando anche (e forse soprattutto) le grandi firme.
Lo sfruttamento bestiale non conosce frontiere o colori se c’è di mezzo il profitto: l’ingiustizia sociale parte dall’interno, dalle condizioni di classe prima ancora che dalle caratteristiche etniche. I pregiudizi sono sempre ardui da sradicare perché spesso si basano sulla pura apparenza: non si è portati a credere che un nero possa essere abbastanza ricco da permettersi un suv e, in un confronto, sarà sempre il diverso ad avere la peggio vedendosi additare come criminale o malintenzionato perché l’antropologia insegna che c’è sempre bisogno di etichettare l’Altro per definire se stessi all’interno della propria comunità d’appartenenza. Per questo la divertente poesia scritta in genovese da Fabio Bruno è anche un momento di riflessione: “svegliarsi nero” è un’esperienza paradossale – forse degna di un racconto di Rodari – ma i versi in rima aiutano a riscoprire la diversità insita in ciascuno di noi e invita a ricomporre tutti i pezzi per rivelare il quadro d’insieme. L’umanità è la cornice che unisce tutti i popoli.
A chiudere il pomeriggio, una performance di capoeira – la danza-combattimento degli schiavi neri – e un gustoso aperitivo con stuzzichini brasiliani ricordano al pubblico che l’arte culinaria sia un mezzo universale per avviare un proficuo dialogo interculturale.

Sarebbe interessante seguire il consiglio di un docente dell’Università di São Paulo che propone di incentrare la prossima Giornata della Coscienza Nera sulle motivazioni profonde del razzismo.

Elena Colombo

Note: *siccome tante persone si aspettavano di ascoltare questa musica e non è stato possibile per problemi tecnici, ecco l'indirizzo della pagina web di Miguel Hernández ove sarà possibile ascoltare in sottofondo la sonorità dei ritmi afro-venezuelani: http://www.miguelhernandezdrums.com/